Di Renato Voltolin

 

Introduzione

Perché un saggio sulla Pedofilia  sottoposto  alla attenzione degli uomini di Legge? Perché questo tentativo  di fornire loro conoscenze che sembrerebbero di competenza squisitamente clinica?

Tempo addietro questa proposta non avrebbe forse avuto molto senso, in quanto la Pedofilia,  veniva esclusivamente considerata un reato come tanti altri, anche se comunque particolarmente odioso.

In altri termini, al Magistrato poteva non interessare di entrare nella sostanza della questione, né  egli mostrava, in genere, una particolare curiosità di conoscere le motivazioni e le dinamiche che sono alla origine del comportamento pedofilo, come di altre degenerazioni delinquenziali del comportamento. Il reo andava semplicemente punito e possibilmente, come sempre, in maniera «esemplare».

Oggi però  le cose stanno  cambiando; sia perché è mutato l’atteggiamento della Società civile nei confronti di certi comportamenti delinquenziali, nel senso che vi è un maggiore desiderio di conoscerne la natura, considerandoli come   problemi sociali da affrontare, piuttosto che solo come   problemi da cui prendere le distanze con atteggiamenti di mera esecrazione, sia perché al Giudice sono demandate decisioni che vanno al di là della sola determinazione e somministrazione della pena.

Riguardo al primo aspetto, cioè alla maggiore sensibilità sociale, la prostituzione, la perversione,  la violenza e gli atti di libidine perpetrati  sulla donna e sul minore, tra i quali rientra il reato di Pedofilia, stanno alimentando una preoccupazione molto diversa da quella che, un tempo, esitava inevitabilmente in un giudizio morale ed in un ostracismo sociale: i delitti a sfondo sessuale stanno cioè diventando un male sociale che sembra quasi assumere connotazioni epidemiche e per il quale ci si comincia a preoccupare in termini di prevenzione oltre che di intervento; soprattutto dopo che i progressi tecnologici (video, computer ecc.) sembrano aver reso disponibili  nuovi canali e nuove opportunità per i soggetti perversi, del tipo: «Perversi di tutto il mondo, unitevi!».

Non essendo ipotizzabile  nessuna azione preventiva né  curativa, senza una adeguata messa a fuoco della natura del problema che si vuole affrontare,  la conoscenza  dei problemi psicologici a rilevanza giuridica, si impone come una necessità ineludibile.

A questo diverso interesse per la natura di certi tipi di reato ha   certamente concorso il notevole sviluppo conoscitivo raggiunto  dalle scienze psicologiche, in particolare di quelle psicoanalitiche  sulla struttura e sulle dinamiche mentali; tale progresso  consente una più corretta valutazione della natura e delle motivazioni sottostanti ai diversi  tipi di reato.

Riguardo alle funzioni del  Giudice, la questione può essere certamente vista sotto l’aspetto dell’esigenza di aggiornamento dei parametri di giudizio (vedi ad esempio il concetto di «comune senso del pudore»), che inoltre influiscono sulla questione delle attenuanti; tuttavia  egli è anche costretto a tener conto del fatto che è mutato lo stesso modo di intendere il significato della pena,  la cui  funzione rieducativo-riabilitativa è passata decisamente in primo piano rispetto a quella retribuivo-punitiva.

Questa nuova concezione della pena, impone di considerare oltre alle modalità del decorso riabilitativo, i provvedimenti alternativi alla carcerazione. In tal senso si muove, ad esempio, la politica penale per i minorenni, secondo la quale il Giudice è chiamato a decidere sempre più secondo una prospettiva di deistituzionalizzazione. Quello del Giudice è dunque diventato   un compito oltremodo complesso e difficile a cui non corrisponde affatto un affinamento delle conoscenze. Al contrario, in ambito giudiziario regna più che mai una certa confusione sia concettuale,  sia riguardo alle stesse  politiche di intervento  psicologico. All’interno del concetto di «ricuperabilità» mancano, ad esempio, criteri  differenziali. Si riserva cioè una scarsa attenzione alla tipologia del reato, pur essendovi una alta correlazione fra disturbo di personalità e tipo di reato; il che rende inattuabile, in quanto troppo generica,  gran parte della ideologia riabilitativa.Vi sono poi reati che, per loro stessa natura, «emanano» da personalità difficilmente «ricuperabili» e per le quali la umanizzazione delle condizioni di carcerazione  sembra, al presente, ancora l’unica soluzione praticabile, in attesa di efficaci interventi riabilitativi che pur richiederanno, qualunque sia l’opinione in proposito, di essere attuati in regime di custodia carceraria; rimanendo quest’ultimo l’unica modalità di garanzia di fronte alla possibile reiterazione del reato.

A tale riguardo  vi sono addirittura casi «limite» in cui  la detenzione costituisce paradossalmente  l’unica salvaguardia per sé e per gli altri: un killer seriale, ma anche uno stupratore recidivo o un delinquente  psicopatico o, che so io, un esibizionista coatto, possono essere più seriamente danneggiati  da una misura  alternativa alla detenzione, che non dalla permanenza della detenzione stessa, in quanto  possono, per un lungo periodo e nonostante la più efficace delle psicoterapie, non essere in grado di sottrarsi alla compulsione delinquenziale.

Questo va affermato, senza tema di smentita, qualunque sia il clamore e l’indignazione che  possa provocare nei garantisti ad oltranza.

Ma vi è anche un altro aspetto, peculiare al problema pedofilo e che questa volta va  controcorrente rispetto ad una maggiore garanzia dei diritti dell’imputato. Le accuse di Pedofilia, anche quando sono a livello indiziario, danno spesso  luogo  ad interventi da parte del PM e quindi degli organi di polizia, che  rischiano di essere  spesso in aperta collisione con i diritti della difesa. Certamente questo dipende dal fatto che la vittima presunta o effettiva è un soggetto minore di età, ma dipende anche dal fatto che il tutore dell’ordine agisce spesso «d’istinto», o «d’intuito», che dir si voglia, sull’onda cioè di un sentimento di indignazione  piuttosto che di una adeguata conoscenza del problema.

Se il tutore della giustizia fosse ad esempio consapevole di quanto sia a volte difficile (e persino in certi casi impossibile) distinguere, in caso di accusa di pedofilia ad opera di un bambino, tra mera fabulazione e realtà, e di quanto le conseguenze delle fabulazioni possano creare gravi danni psicologici sia all’accusato che allo stesso minore (leggi: intenso senso di colpa), forse sarebbe più guardingo nel decidere provvedimenti drastici ed immediati di natura coercitiva, che spesso arrivano all’allontanamento della vittima dallo stesso genitore innocente.

E’ vero che i Pubblici Ministeri  ignorano che si tratta di una questione alquanto complicata: il problema della attendibilità delle fantasie infantili di seduzione è stato uno dei più spinosi problemi affrontati dallo stesso Freud, ma  questo non giustifica il loro accanimento persecutorio nei confronti di ogni presunto pedofilo, anche se a loro giustificazione hanno l’irresponsabile avallo di certi saccenti e maleaccorti psicologi.  Ma di questo avrò modo di trattare più avanti.

Come se tutto ciò non bastasse, vi sono altri motivi per i quali la Pedofilia  deve entrare tra gli argomenti di conoscenza da parte del Magistrato. La Pedofilia appartiene a quella tipologia di patologie che hanno generalmente natura «egosintonica», nel senso che riguarda soggetti che «convivono» con questa loro tendenza in maniera compromissoria, e che non andranno probabilmente mai a chiedere un intervento psicoterapeutico per tale  disturbo, salvo particolari situazioni di  complicanze reali.

Se si eccettuano i rari casi in cui questo comportamento perverso genera un senso di colpa intollerabile o si correla ad ansie persecutorie insostenibili (paura di essere scoperto con esiti catastrofici riguardo il lavoro, la famiglia ecc.), il pedofilo cerca  di gestire il suo desiderio sessuale, la sua Perversione, «in proprio» e nel modo migliore possibile, considerandola sì anomala,  ma non indice di patologia mentale. Per cui sono altri, piuttosto che lo psicologo clinico, ad aver  a che fare con questo tipo di soggetti; in particolare, appunto, coloro che in funzione del loro ruolo  sono chiamati a intervenire giudizialmente,  a seguito di denuncia  o perché costretti ad  intervenire d’ufficio, quando questo problema, uscito dall’ambito di segretezza e di omertà in cui solitamente opera, diventa «percepibile» e fa «scandalo».

Si crea dunque una situazione paradossale: chi, per competenza professionale, si occupa a fondo della struttura psicologica e delle dinamiche relazionali del problema, ha accesso a pochi casi e quindi non può incidere quantitativamente  sulle sue  dimensioni e  sulla sua rilevanza sociali; chi invece ha maggiori possibilità di intervento, perché preposto istituzionalmente all’educazione e alla salvaguardia del minore, non possiede  una  adeguata conoscenza scientifica di orientamento.

Non dimentichiamo che la situazione diventa estremamente delicata quando il pedofilo è uno dei genitori; in tali casi  il giudice è chiamato a decidere anche sul nuovo assetto familiare  delle vittime (di regola minori); a tale riguardo i casi di pedofilia intrafamiliare, insieme al maltrattamento del minore, stanno diventando sempre più frequenti.

In breve,  il problema della Pedofilia ha  chiaramente  anche  una dimensione Forense, oltre che Clinico-Psicologica, che non può ulteriormente essere ignorata né dallo psicologo clinico, né dall’uomo di Legge, (né, ovviamente, dalle Istituzioni Educative) e che non può che essere risolto in un clima di interdisciplinarietà.

Per concludere questa introduzione, possiamo dunque  affermare che, in particolare in materia di Pedofilia, ma non solo, un accertamento di reato sessuale, una indagine probatoria,  una richiesta di «attenuanti»,  una decisione di provvedimento alternativo alla carcerazione, un approfondimento sulla pericolosità di un soggetto, un perdono giudiziario per un minore, ecc., sono tutti provvedimenti che oggi  devono poter contare su indagini psicologiche particolarmente «affidabili».

 

Tratto da “Quaderno n.3 di Psicologia Giuridica”. Pubblicazione dello Studio di Psicologia Forense e Assistenza Giudiziaria di Milano. AUT. TRIB. MILANO N. 74 DEL 27/1/1999.

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